Uno sguardo veneto sulla Liturgia, musica e arte sacra, le attualità romane e le novità dalle terre della Serenissima.
Sul solco della continuità alla luce della Tradizione.

Seminari e Catechismo: due nuovi Motu Proprio




de Radio Vaticana 
Sono state pubblicate oggi due Lettere apostoliche di Benedetto XVI, in forma di Motu Proprio, con cui si trasferiscono la competenza sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero e la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. I due documenti erano stati annunciati dal Papa lo scorso 27 ottobre, a conclusione dei lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. 

Con il Motu Proprio “Ministrorum institutio”, Benedetto XVI - valutando la rilevanza della formazione sacerdotale e il fatto che essa include sia quella da impartire “ai futuri ministri del Signore” che quella permanente - affida alla Congregazione per il Clero “la promozione e il governo di tutto ciò che riguarda la formazione, la vita e il ministero dei presbiteri e dei diaconi: dalla pastorale vocazionale e la selezione dei candidati ai sacri Ordini, inclusa la loro formazione umana, spirituale, dottrinale e pastorale nei Seminari e negli appositi centri per i diaconi permanenti, fino alla loro formazione permanente, incluse le condizioni di vita e le modalità di esercizio del ministero e la loro previdenza e assistenza sociale”. Con questo Motu Proprio, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, (dei Seminari e degli Istituti di Studi) cambia il nome in Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi) ed è competente per l’ordinamento degli studi accademici di filosofia e di teologia, sentita la Congregazione per il Clero, per quanto di rispettiva competenza, mentre la Congregazione per il Clero assume “quelle materie che riguardano i presbiteri e i diaconi del clero secolare in ordine sia alle loro persone, sia al loro ministero pastorale, sia a ciò che è loro necessario per l’esercizio di tale ministero, ed in tutte queste questioni offre ai vescovi l’aiuto opportuno” e “assiste i vescovi perché nelle loro Chiese siano coltivate col massimo impegno le vocazioni ai ministeri sacri e nei seminari, da istituire e dirigere a norma del diritto, gli alunni siano adeguatamente educati con una solida formazione sia umana e spirituale, sia dottrinale e pastorale. Vigila attentamente perché la convivenza ed il governo dei seminari rispondano pienamente alle esigenze dell'educazione sacerdotale ed i superiori e docenti contribuiscano, quanto più è possibile, con l'esempio della vita e la retta dottrina alla formazione della personalità dei ministri sacri. Ad essa spetta, inoltre, di erigere i seminari interdiocesani e di approvare i loro statuti”. La Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali è trasferita presso la Congregazione per il Clero e la Commissione interdicasteriale “Per una distribuzione più equa dei sacerdoti nel mondo” è soppressa.
Con il Motu Proprio “Fides per doctrinam”, il Papa trasferisce la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. La competenza sulla Catechesi riguarda: “la cura e promozione della formazione religiosa dei fedeli”; la facoltà di emanare norme opportune perché “l’insegnamento della Catechesi sia impartito in modo conveniente secondo la costante tradizione della Chiesa”; il compito di “vigilare perché la formazione catechetica sia condotta correttamente secondo le indicazioni espresse dal Magistero”; la facoltà di concedere la “prescritta approvazione della Sede apostolica per i catechismi e gli altri scritti relativi all’istruzione catechetica, con il consenso della Congregazione per la Dottrina della Fede” e, infine, il compito di assistere gli uffici catechistici delle Conferenze episcopali seguendo e coordinando le loro attività. Le nuove disposizioni completano quelle contenute nel Motu Proprio “Ubicumque et semper” con il quale il Santo Padre aveva creato nel 2010 il nuovo Dicastero per l’evangelizzazione assegnandogli anche il compito di promuovere l’uso del “Catechismo della Chiesa Cattolica” del 1992, “quale formulazione essenziale e completa del contenuto della fede per gli uomini del nostro tempo”. Questo in linea con gli insegnamenti conciliari e con il Magistero di Paolo VI e Giovanni Paolo sullo stretto nesso tra processo di evangelizzazione e insegnamento catechetico (cfr l’Esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” del 1976 e il II Sinodo dei vescovi sulla Catechesi del 1985). “La fede – spiega il Papa - ha bisogno di essere sostenuta per mezzo di una dottrina capace di illuminare la mente e il cuore dei credenti” ed “è compito particolare della Chiesa mantenere vivo ed efficace l’annuncio di Cristo anche attraverso l’esposizione della dottrina che deve nutrire la fede”. 

Una religione al passo coi tempi




de Il Gazzettino 
Arriva il "Rap dell'ora di religione". Succede a Padova, dove la Diocesi, per promuovere la scelta dell'ora di religione cattolica a scuola, in vista del via alle nuove iscrizioni online, ha voluto sfruttare l'appeal di una musica vicina ai ragazzi, come il rap, per veicolare il messaggio della Chiesa. 
Il "Rap dell'ora di religione" sarà presentato dopodomani dall'Ufficio Scuola della Diocesi di Padova assieme al materiale promozionale, come depliant e video spot sulle rete, che già da qualche anno vengono realizzati in sei lingue (italiano, inglese, francese, romeno, arabo e cinese). La Diocesi, per dimostrare l'efficacia di queste campagne multi-lingue, sottolinea che a Padova si registra una presenza di circa il 50% di alunni stranieri nelle scuole che si avvalgono dell'ora di religione.

Lefevriani: Di Noia scrive...




di Andrea Tornielli per Vatican Insider
Nuova mossa della Santa Sede verso la Fraternità San Pio X: il vicepresidente di Ecclesia Dei Augustin Di Noia, nelle cui mani da pochi mesi Benedetto XVI ha affidato lo scottante dossier lefebvriano, ha scritto al vescovo Bernard Fellay. E attraverso di lui si è rivolto a tutti i sacerdoti della Fraternità, indicando un percorso per riannodare i fili di un dialogo interrotto dallo scorso giugno.

Come si ricorderà, dopo anni di discussioni dottrinali, nel giugno 2012 la Congregazione per la dottrina della fede aveva consegnato al superiore lefebvriano un preambolo dottrinale approvato da Ratzinger la cui sottoscrizione era premessa per l’accordo e la sistemazione canonica che avrebbe riportato la Fraternità alla piena comunione con Roma. La Santa Sede attendeva una risposta nel giro di alcune settimane. Ma la risposta non è mai arrivata. I lefebvriani hanno studiato la proposta vaticana, ci sono state tensioni interne – per cause preesistenti – che hanno portato all’espulsione di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre nel 1988, tristemente famoso per le sue dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Il cammino intrapreso è sembrato però interrotto, e le dichiarazioni dalle due parti non sono apparse concilianti: il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gehrard Müller ha criticato in modo aspro le posizioni lefebvriane, mentre stanno facendo ancora discutere le controverse dichiarazioni di Fellay sui «nemici della Chiesa» che si sarebbero opposti all’accordo con Roma, tra i quali il vescovo lefebvriano ha inserito anche gli «ebrei».
La mossa di Di Noia rappresenta una novità. L’arcivescovo statunitense, domenicano, è un teologo preparato e realista. Nella lettera che ha inviato a Fellay prima di Natale, chiedendo al superiore della San Pio X di farla arrivare a tutti i preti della Fraternità, Di Noia propone un metodo per riprendere il dialogo, compiendo così un ultimo tentativo di fronte allo stallo e a difficoltà che sembrano oggettivamente difficili da superare. Secondo l’autorevole vaticanista francese Jean Marie Guenois, l’ispiratore della missiva sarebbe lo stesso Benedetto XVI, che l’avrebbe riletta e autorizzata. Nella missiva, informa Guenois, si parla del forte desiderio di «superare le tensioni» esistenti. Nel documento, di otto pagine, vengono toccati tre punti essenziali: lo stato attuale dei rapporti, lo spirito di questi rapporti e il metodo per riprendere il dialogo interrotto. A proposito dell’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, uno dei punti più controversi del dialogo, Di Noia ritiene che le relazioni siano ancora «aperte» e «piene di speranza», nonostante certe recenti dichiarazioni di parte lefebvriana. Il vicepresidente di Ecclesia Dei sancisce forse per la prima volta così autorevolmente l’esistenza, nei rapporti con la San Pio X, di un «impasse» di fondo e l’assenza di passi in avanti sull’interpretazione del Concilio.
Nella seconda parte del documento si sottolinea l’importanza dell’unità della Chiesa e dunque la necessità di evitare «l’orgoglio, la collera, l’impazienza». Il «disaccordo su dei punti fondamentali» non deve escludere di dibattere delle questioni controverse con uno «spirito di apertura». Infine, la terza parte della lettera, propone due vie d’uscita per uscire dallo stallo attuale. La prima è il riconoscimento del carisma di monsignor Lefebvre, e dell’opera da lui fondata, che era quello della «formazione di preti» e non quello della «retorica controproducente», né quello di «giudicare e correggere la teologia» o ancora di «correggere pubblicamente gli altri nella Chiesa». La seconda – presente nel documento Donum Veritatis pubblicato nel 1990 a proposito della dissidenza dei teologi progressisti – consiste nel considerare legittime, nella Chiesa cattolica le «divergenze» teologiche, ricordando però che le obiezioni devono essere espresse internamente, non pubblicamente, per «stimolare il magistero» a formulare meglio i suoi insegnamenti. E non devono dunque mai prendere la forma di un «magistero parallelo».
A Roma ora di attende una risposta. Sperando che questa volta sia positiva.


Al di là di resistenze ed interpretazioni... cosa?




di don Luigi Girardi*  per La Difesa del Popolo 
All'indomani dell’apertura del concilio Vaticano II, il documento sulla liturgia fu il primo a essere discusso, approvato e promulgato da papa Paolo VI con la firma di tutti i padri conciliari (4 dicembre 1963). Ciò spiega perché la costituzione liturgica porti il nome dell’evento che l’ha prodotta: Sacrosanctum concilium. Nel primo numero, infatti, si dichiara la finalità generale del concilio(rinnovare e dare impulso alla vita della chiesa), e proprio per questo si afferma che è necessario occuparsi anzitutto della riforma e della promozione della liturgia. Ciò va inteso in un duplicesenso: da un lato, il rinnovamento della chiesa dovrà coinvolgere anche la liturgia, la quale è una sua espressione fondamentale; dall’altro, la liturgia va riformata perché possa a sua volta contribuire a rinnovare la chiesa. È convinzione del documento che alla liturgia deve partecipare pienamente ogni battezzato e che da tale partecipazione tutti attingono il «genuino spirito cristiano» (Sc 14).

Il testo della Sacrosanctum concilium ha raccolto e rielaborato quanto era stato prodotto nel tempo precedente, a livello di studio, di vita pastorale, di documenti magisteriali e di prime iniziali riforme della liturgia. Costituisce quindi un punto fermo, che acquisisce ma anche rilancia il cammino della chiesa. Dei suoi sette capitoli, il primo è quello fondamentale: offre i principi generali per la riforma e la promozione della liturgia. Superando una visione ritualistica o solo giuridica della liturgia, afferma che essa è un momento in cui si attua la storia della salvezza di Dio con l’umanità, perché gode di una speciale presenza di Cristo. Richiama poi la necessità di un’approfondita formazione e indica le norme con cui gli organismi competenti dovranno procedere a una riforma generale della liturgia, in modo da «conservare la sana tradizione e aprire la via al legittimo progresso» (Sc 23). Alcune di queste norme riguardano la natura ecclesiale della liturgia (la liturgia è azione della chiesa, coinvolge tutta l’assemblea e chiede la partecipazione di tutti, ciascuno secondo il proprio stato), altre derivano dalla natura didattica e pastorale della liturgia (il suo grande insegnamento, in particolare la Scrittura, deve essere reso più facilmente accessibile, anche introducendo le lingue vive). Altri criteri sono dati per procedere nell'adattamento della liturgia alle culture dei vari popoli; si raccomanda infine la vita liturgica nelle diocesi e nelle parrocchie e la pastorale liturgica.
Questi principi di riforma vengono applicati a tutta la liturgia: l’eucaristia (cap.2°), i sacramenti e i sacramentali (cap. 3°), l’Ufficio divino (cap. 4°), l’anno liturgico (cap. 5°). Nella stessa direzione viene avviato il ripensamento e la valorizzazione della musica e dell’arte sacra, precisando la loro qualità liturgica (cap. 6° e 7°): anch'esse  come tutti i linguaggi del rito, sono parte integrante della celebrazione e ne condividono le caratteristiche fondamentali; perciò devono esprimere la ricchezza del mistero
celebrato e devono consentirne la partecipazione dei fedeli. Sacrosanctum concilium è il primo documento nella storia dei concili che si è interamente occupato della liturgia e che ne ha richiesto una riforma generale. Il suo fine era promuovere in tutti un’esperienza profonda dell’incontro con il Signore proprio attraverso la forma ecclesiale del rito celebrato, superando anche un certo individualismo. A tal fine, si è dato impulso a una nuova pastorale liturgica, in cui la celebrazione (massimamente l’eucaristia) è vista come «culmine» dell’azione della chiesa e «fonte» da cui scaturisce la sua energia (Sc 10).
Lo sforzo messo in atto dalla chiesa per attuare queste indicazioni è stato grandissimo e ha bisogno di un lungo tempo per una ricezione e una attuazione che ne siano all'altezza  Al di là di comprensibili resistenze o interpretazioni troppo sbrigative, l’accoglienza della Sacrosanctum concilium e i frutti che ne sono derivati segnano una direzione fondamentale per il cammino di una chiesa che voglia vivere la propria fede nelle condizioni del mondo attuale. La cura per imparare a celebrare come il concilio ci ha indicato resta la vera sfida da raccogliere.


(presidente dell'istituto di Liturgia Pastorale di Padova)

Telefonia e liturgia




"Il Signore vi parla e vi ascolta in molti modi. Ma di sicuro non vi chiama al cellulare"

Spegni il telefonino in chiesa!



Concilio, liturgia e musica: ne discutono anche i cartoon!




Cartoni animati giapponesi che dibattono sulla musica sacra... come nelle nostre parrocchie (si spera). Beh, che dire? Bella provocazione! 






Pillole dell'età dei Padri: il I secolo




Il I secolo è l'epoca della formazione della Chiesa, tra diatribe locali, nascita di importanti comunità cristiane e figure di spicco, come quei Padri diretti continuatori di quegli Apostoli investiti dallo Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste; nei loro scritti e nelle loro figure traspare il tentativo di trasmettere la giusta dottrina, difesa dalle dispute e dalle nascenti forme d'eresia, dalla lotta con le comunità giudaiche. 

La celebre lettera scritta dal vescovo di Roma Clemente Romano alla comunità di Corinto tra il 96 e il 98 oltre ad essere indicato tra più antichi documenti cristiani è una fondamentale testimonianza del primato della Chiesa di Roma: il papa Clemente intervenne per via epistolare nella comunità corinzia per sedare una spaccatura tra anziani (sacerdoti) e giovani ribelli. Nell'epistola Clemente invita alla penitenza e a ripristinare la pace della comunità e dei suoi membri, alla luce della Sacra Scrittura, portatrice di concordia. 
"Ora invece date ascolto a gente da nulla a persone che vi pervertono e gettano il discredito su quella vostra coesione fraterna, che vi ha resi celebri. Un disonore che dobbiamo eliminare al più presto. Buttiamoci ai piedi del Signore e supplichiamolo con lacrime perché, fattosi propizio, ci restituisca la sua amicizia e ci ristabilisca e ci ristabilisca in una magnifica e casta fraternità d'amore" 
Epistola ai Corinzi, Clemente Romano. 
A papa Clemente era attribuita anche la più antica omelia cristiana pervenutaci, oggi datata al 150 d. C. scritta da un autore ignoto di provenienza forse siriaca.
La maggior parte delle informazioni sulla liturgia celebrata dalle prime comunità cristiane sono tratte dalla Didaché (insegnamento). L'opera, scoperta un centinaio d'anni fa in un codice costantinopolitano, è di anonimo autore ed è stata data agli anni Cinquanta del I secolo il che la porterebbe ad essere il documento cristiano più antico in assoluto. Alcuni l'anno definita proto-manuale di diritto canonico, infatti, oltre a contenere istruzioni dottrinali (la catechesi della vita e della morte) e letture esagetiche, vi sono istruzioni liturgiche e commenti al rito del battesimo e alla liturgia eucaristica. 
"Nel giorno del Signore, riunitevi, spezzate il pane e rendete grazi, dopo aver confessato i vostri peccati, perché il vostro sacrificio sia puro. Chiunque invece ha qualche discordia con il suo compagno, non si raduni con voi prima che si siano riconciliati, perché non sia profanato il vostro sacrificio. Il Signore infatti ha detto: in ogni luogo e in ogni tempo mi si offra un sacrificio perfetto, perché un grande Re sono io, dice il Signore, e mirabile è il mio nome fra le genti" 
Liturgia delle Ore, Didaché.  
Nella scia dell'aspro scontro dei primi secoli tra Giudei e Cristiani si inserisce la cosiddetta Epistola di Barnaba, scritta da un anonimo tra I e II secolo. La lettera è un lungo sermone sull'uso cristiano dell'Antico Testamento che non risparmia stoccate alle comunità Giudaiche, accusate di accostarsi carnalmente ai testi sacri e non spiritualmente, con corretta lettura esagetica. 
"Qualunque cosa ti accada, la prenderai in bene, sapendo che nulla avviene che Dio non voglia. Non sarai volubile nel pensare né userai duplicità nel parlare; la lingua doppia infatti è un laccio di morte." 
Epistola di Barnaba 
Il documento chiamato Pastore di Erma si inserisce nel grande discutere teologico che si compiva a Roma tra I e II secolo, quando si dibatteva sul problema della ricaduta nel peccato grave anche in seguito al Battesimo. La proposta di Erma, che si basa sulle rivelazioni di un angelo che gli apparve in forma di pastore, fu quella di concedere al peccatore già battezzato la possibilità di rimediare attraverso una penitenza, da compiersi prima della morte corporale. 
La figura di Ignazio di Antiochia apre invece il grande periodo delle persecuzioni. Le epistole del santo vescovo, inviate ad amici ed estimatori durante il viaggio che lo condusse verso le belve che a Roma lo avrebbero divorato, profilano l'imponente figura spirituale e l'enorme carisma dell'episcopo, che, anche se destinato alla morte imminente, non rinuncia ad amministrare le anime, a scontrarsi con l'eresia docetista e a compiere un'esagesi del martirio, implorando i cristiani di non dissuaderlo nell'affrontare le belve del circo, nell'anno 107.

"Scrivo a tutte le chiese, a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo" 
Epistola ai Romani, Ignazio di Antiochia


Benedetto e l'inquieto episcopato




"giungiamo alla domanda: come dev'essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev'essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev'essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev'essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev'essere preso dall'inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all'inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev'essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall'inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev'essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore. Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant'Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev'essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev'essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo. Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente. Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev'essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell'aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi! In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt'al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo."

BENEDICTUS PP. XVI

Solennità dell'Epifania del Signore, 6 gennaio 2013, omelia.


La cacciata dal tempio




Biglietti, ma soprattutto spettacoli e concerti nelle chiese veneziane: il Patriarca Moraglia ci da un taglio. Più sacro e meno danaro. 

di Daniela Ghio per Il Gazzettino 
Il Patriarca mette un freno alle chiese museo e soprattutto allo sfruttamento in termini economici dei beni ecclesiastici: una posizione chiara contro le chiese a pagamento. Nella prefazione del calendario liturgico diocesano, distribuito alle parrocchie, monsignor Francesco Moraglia sollecita i parroci e i fedeli a riscoprire la vera sacralità dell’azione liturgica, valorizzando la specificità liturgica e non museale delle chiese di Venezia. 
Il Patriarca si richiama alla Costituzione Sacrosanctum Concilium e spiega come ci si trovi talvolta agli antipodi dell’uso degli spazi sacri per fini diversi da quelli per cui sono stati progettati e costruiti: «Talune proposte – afferma il presule - che inizialmente si presentano in termini catechistici e culturali, alla fine sembrano rispondere ad altre logiche». 
Lo spazio sacro di una chiesa, nata per il culto, sottolinea il Patriarca, deve quindi rimanere riferimento all’azione liturgica o a momenti che direttamente o indirettamente preparano o seguono tale azione. «È essenziale – continua – che ogni uso differente da quello liturgico sia regolamentato e comunque si svolga sotto la guida dei competenti organi e uffici diocesani. Anche senza esplicita volontà, è facile usufruire in maniera non consona di spazi liturgici destinandoli ad un uso improprio per cui non sono stati pensati, progettati e costruiti. Il rischio, non sempre presente a tutti, è che una mentalità funzionalistica si affermi in seno alla stessa comunità dei credenti e alle sue guide; l’uso improprio degli spazi sacri, soprattutto quando istituzionalizzato, facilità l’instaurarsi di tale mentalità. In tal modo, smarrita, per esempio, la capacità di percepire il linguaggio del simbolo, ci si interroga sull’uso di un edificio sacro: “ma… cosa ne posso fare?”, “che cosa ne posso ricavare?”, e “cosa ci guadagno?”. Non di rado succede che la mentalità funzionalistica si trasformi in mentalità imprenditoriale; fronteggiare tale tendenza e soprattutto recuperare il senso del sacro, del mistero e dell’adorazione è essenziale». 
Viene messa in discussione pertanto l’attività “istituzionalizzata” di Chorus, associazione per le chiese del patriarcato di Venezia, che prevede la visita turistica delle chiese a pagamento, assicurandone l’apertura e la guardiania. Così come viene messa in discussione l’attività concertistica e di mostre di alcuni templi sottratti al culto. Scaduti i contratti in corso, gli uffici diocesani potrebbero bloccare questo tipo di attività, almeno per le chiese di diretta dipendenza dal patriarcato e non di uso pubblico. Moraglia in particolare desidera che chiunque possa entrare nelle chiese senza pagare il biglietto. E già sì è avuta una prima risposta: dal 1° gennaio la chiesa della Madonna dell’Orto si è tolta dal circuito di Chorus.



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