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Moraglia Patriarca: l'arrivo tra poveri e Liturgia



Preambolo di un episcopato. Per la gioia del Patriarcato tutto. 

di Ugo Dinello (per la Nuova di Venezia e Mestre) 
La prima serata da patriarca, Francesco Moraglia ha chiesto di passarla con i poveri. Anzi, servendo i poveri. Così sabato 24 marzo tra i 12 volontari in servizio alla mensa di Ca’ Letizia, ci sarà anche il nuovo Pastore della diocesi veneziana e futuro cardinale elettore. Moraglia ha anche chiesto di non divulgare questa sua scelta, che la curia non ha comunicato nemmeno ai volontari della San Vincenzo che assicurano la colazione e la cena agli oltre 150 poveri che ogni giorno vengono sfamati dalle cucine di via Querini 19/a. Un’attenzione, quella di Moraglia per gli ultimi, che è stata una costante nella sua vita. Così ad esempio, durante i giorni del gelo il responsabile della Caritas, don Dino Pistolato è stato subissato di telefonate dalla Spezia: Moraglia ha chiesto più e più volte se con il clima abbondantemente sotto zero le strutture assistenziali della diocesi veneziana erano in grado di fare fronte all’emergenza, garantendo un posto al coperto a tutti i senzatetto. Moraglia ha voluto essere informato e costantemente aggiornato sui numeri, le situazioni, le criticità e le eventuali richieste straordinarie in uomini e mezzi da parte della Caritas alla Chiesa veneziana e mestrina. Un ingresso nella diocesi, quello del patriarca eletto, che raccoglierà una serie impressionante di significati simbolici. Accanto alla tradizione, con l’ingresso dal confine occidentale della diocesi (a Mira), ci sarà il futuro: Moraglia si fermerà infatti a Mestre per poter incontrare i giovani di tutte le parrocchie e i gruppi di animatori liturgici. «Vorrei vederli tutti», ha spiegato al comitato d’accoglienza formato da Simone Scremia e don Danilo Barlese. Per questo la sede, che in un primo tempo era stata fissata al Laurentianum, potrebbe rischiare di non contenere tutti i partecipanti all’evento. Poi la serata a Ca’ Letizia, assieme ai dodici volontari della San Vincenzo, sei in cucina e sei in sala, a distribuire i pasti ai più bisognosi. La mattina del 25 Moraglia sarà prima in duomo San Lorenzo e poi a Marghera, da dove nel pomeriggio raggiungerà piazzale Roma e il piazzale della Stazione Santa Lucia per un momento di preghiera davanti alla statua bronzea dell’Immacolata Concezione, voluta dall'allora patriarca e poi papa Roncalli, per la festa dell’Annunciazione e la contemporanea festa del Natale di Venezia. Infine, con un corteo acqueo in Canal Grande, raggiungerà San Marco e farà il suo ingresso in Basilica per il primo Sommo Pontificale. Vista l’ora pomeridiana la Santa Sede potrebbe concedere una dispensa per l’uso dei paramenti bianchi, al posto di quelli viola previsti durante la Quaresima.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

... BASTA CHE NON ME LO FACCIANO PAPA SUBITO PERò.

Anonimo ha detto...

...magari tutti i vescovi si tenessero lontani da telecamere e riflettori...soprattutto quando "servono"...

Anonimo ha detto...

davvero un bel gesto.

Anonimo ha detto...

davvero un bel gesto pieno di significati

Piero Fei ha detto...

Sono sicuro che il modo più corretto per un Patriarca come Francesco Moraglia, di entrare a San Marco, sia con la cappa magna. Senza pretendere le code dei tempi andati, basta solo che sia indossata e magari arrotolata al braccio.Seguito dai canonici in abito corale. Con molta semplicità, anche senza avvisare, basterà sostituire, appena salirà in barca dalla stazione, il mantello con la cappa. Stop. Senza farne tragedie o epopee. Poi naturalmente l'uso delle chiroteche e un numero di concelebranti esiguo. Non sono veneziano, ma la messa di congedo di Scola è stata un caos.

Anonimo ha detto...

Credo che la concelebrazione andrebbe riservata solo ed esclusivamente ai cardinali, arcivescovi e vescovi presenti, assieme ai Canonici residenziali ed onorari del Capitolo di San Marco, ai Protonotari Apostolici, ai Prelati d'onore e ai Cappellani di Sua Santità.
Tutto il resto della pretaria, diaconi e quant'altro non deve concelebrare e neanche stare in presbiterio, da riservare solo alle categorie sopra nominate.

Federico Tedeschini ha detto...

1.- Il numero 31 di Ut sive sollicite significa semplicemente questo: “I patriarchi di rito latino non cardinali vestiranno come gli altri vescovi” (così, in italiano, Enchiridion Vaticanum, 3 [1968-1970], num. 986, p. 555). Ogni altra traduzione è, diciamo così, gratuita;

2.- gli statuti capitolari sono stati rifatti conservando, e anzi espressamente citando (come in diversi statuti attuali che ho sottomano) gli antichi privilegi, generalmente derivanti da una Bolla pontificia. Naturalmente fonte del privilegio continua ad essere la Bolla, non lo statuto, che deve essere controllato e approvato dal vescovo (can. 505). D’altro canto non si vede come un vescovo potrebbe far diventare, collegialiter, protonotari i propri canonici (esempi numerosi: Milano, Venezia, Treviso, etc., tutti decorati dei privilegi dei protonotari da Pontefici addirittura prima del Codex del 1917). Queste concessioni spettano solo al Pontefice e se sono avvenute prima del Codex del 1983, prima delle norme qui citate su abiti e titoli e anche prima del Codex del 1917 (come nella maggior parte dei casi), permangono nella loro vigenza a meno che non siano espressamente revocati;

3.- quando Clemente XI, con la bolla In supremo Apostolatus solio (7 novembre 1716, in Magnum Bullarium Romanum, XI/alt., Romae 1736, p. 87 s.), concesse diversi privilegi al patriarca di Lisbona, disse che costui era insignito in generale dei diritti e dei privilegi in uso da parte del patriarca di Venezia. Questi diritti e privilegi vengono numerati, eccezion fatta per gli abiti. Per questi, infatti, non viene citato il patriarca di Venezia, ma invece e specificamente l’arcivescovo di Salisburgo: “… decoratus habitu purpureo ad instar venerabilis etiam fratris nostri moderni Archiepiscopi Salisburgensis” (ivi, pp. 92-93, § 8). Se il patriarca di Venezia fosse stato insignito della porpora, non si vede per quale motivo ci fosse la necessità, sul punto specifico, di citare invece l’arcivescovo di Salisburgo;

4.- è logicamente aberrante trarre argomenti dai fatti; semmai sono i fatti che debbono piegarsi agli argomenti. Non si può quindi dire: «siccome mi pare che gli abiti di due precedenti patriarchi di Venezia siano porpora, ergo significa che il patriarca porta la porpora». Questo falso ‘argomento’ si fonda sulla traduzione fantasiosa di Ut sive sollicite, come abbiamo già visto. Del resto se quella traduzione e, soprattutto, l’interpretazione globale relativa ai privilegi precedenti fossero vere, bisognerebbe ritenere illegali l’arcivescovo di Udine, quello di Vercelli, quello di Salisburgo, etc., che non sono né cardinali né patriarchi ma che continuano ad indossare gli abiti rossi. L’Arcivescovo di Udine lo fece anche davanti a Benedetto XVI in occasione della visita veneziana, senza che nessuno dicesse nulla. Gli antichi avrebbero detto: «Papa vidit ergo approbabit».
Questo ‘argomento’, inoltre, appare poco plausibile anche sul piano del buon senso, che avrebbe potuto condurre alla scelta di usare la stoffa dei cardinali (o pressapoco) semplicemente per… economicità, visto che è certo che il patriarca di Venezia prima o poi diventa cardinale.
(segue)

Federico Tedeschini ha detto...

(segue)
5.- contrariamente a quanto è stato detto anche qui, evidentemente senza conoscerne il testo, la Lettera circolare della Congregazione per il clero Per instructionem (30 ottobre 1970), lettera che contiene la formula «tutti i privilegi, anche secolari e d’origine immemorabile, sono aboliti con la presente lettera» (così in Enchiridion Vaticanum cit., num. 992, p. 557), ha per oggetto esclusivo gli abiti da usare in coro e i titoli dei canonici, dei beneficiari e dei parroci (ibid., num. 991, p. 557), non gli abiti dei vescovi. Questa clausola di Cancelleria invece (vedi caso!) manca proprio nella Ut sive solliciti;

6.- il patriarca di Venezia si è trascinato dietro tutti i diritti e i privilegi del patriarca di Grado (il quale a sua volta si era trascinato quelli del patriarca di Aquileia: entrambi infatti, all’inizio, rivendicavano la propria autenticità: cfr. G. Fedalto, Aquileia. Una chiesa due patriarcati, Roma 1999, passim), come appare chiaramente dal § 2 della Bolla Regis aeterni di Nicolò V dell’8 ottobre 1451 (in Magnum Bullarium Romanum, ed. Cocquelines, III/tert., Romae 1743, p. 68), da me già citata. E’ altamente probabile, se non certo, che i privilegi circa l’abito e dell’arcivescovo di Udine e del patriarca di Venezia derivino, per vie diverse, proprio dalla sede patriarcale di Aquileia, da cui la locuzione «rosso patriarchino». Non a caso il buon Gaetano Moroni, parlando del patriarca di Lisbona, ha cura di notare: «Per maggiormente condecorare la nuova patriarcale, Clemente XI concesse al patriarca di Lisbona i privilegi che godeva il patriarca di Venezia, e l’uso dell’abito rosso come gli arcivescovi di Salisburgo» (ad vocem Lisbona, p. 313), dove la cura nella distinzione ha tutto un suo significato di precisione;

7.- del resto - e infine per chiudere con un argomento evidentissimo -, se fosse vero che il rosso del patriarca di Venezia è quello cardinalizio, dovrebbe sussistere la fonte della concessione. Io questa fonte non la conosco proprio: quando verrà esibita, magari da uno di quelli che chiedono le fonti agli altri, cambierò la mia idea e interverrò nuovamente.

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